di Stella Bonato collaborazione con Federica Cominelli

 

Fino alla prima metà del ‘900, nel mondo occidentale è prevalso il modello produttivo taylorista, nel quale il lavoratore veniva considerato uno strumento la cui efficacia era improntata alla rigida ripetizione del lavoro secondo l’equazione “presenza = produzione”.

Con l’inizio del boom economico postbellico, pian piano l’attenzione si è spostata alla composizione dei gruppi di lavoro, attraverso indagini che hanno permesso l’emergere della consapevolezza della diversità dei lavoratori e, di conseguenza, del tema delle pari opportunità. Si inizia quindi a riflettere su quelle che sono le differenze tra lavoratori e nascono le prime leggi che mirano al superamento delle discriminazioni e al riconoscimento dei diritti individuali.

In tempi più recenti, nell’epoca della piena globalizzazione, il concetto di inclusione e valorizzazione della diversità acquisisce un’importanza crescente. Infatti, a causa della diversificazione dei mercati, le aziende vengono sempre più chiamate a gestire e integrare le differenze personali e culturali che si presentano tra i dipendenti.

A tal proposito, negli anni ‘90 nasce il Diversity Management, un modello di gestione di risorse umane caratterizzato da politiche sociali che mirano a creare un ambiente di lavoro inclusivo, dove vengono valorizzate le diversità degli individui e dei gruppi sociali.

Si tratta dunque di un modello di gestione del capitale umano finalizzato alla valorizzazione delle differenze di cui ciascun individuo è portatore all’interno dell’organizzazione, e che distingue due dimensioni della diversità:

  1. Dimensione primaria: rappresenta quelle differenze che fanno parte di un patrimonio innato dell’individuo e che non possono essere modificate; quali ad esempio l’età, il genere, l’origine etnica, l’orientamento sessuale.
  2. Dimensione secondaria: rappresentata da capacità acquisite nel tempo e che possono essere modificate più volte o abbandonate nel corso del tempo; come ad esempio il background educativo, la situazione familiare, l’esperienza professionale, il reddito.

I vantaggi

Diversi studi hanno dimostrato che il Diversity Management ha un impatto positivo su vari livelli.

A livello individuale, quando il singolo si sente compreso e rispettato nelle sue esigenze e nella sua diversità, si sente più realizzato ed è più portato a rendere maggiormente in termini produttivi, migliorando il rapporto con i colleghi ed i superiori e partecipando, così, con maggior interesse al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

A livello gruppale, è stato dimostrato che un team variegato è in media più performante rispetto ad un team in cui predomina l’omologazione. Infatti, lavoratori con background diversi possono dare ai gruppi di lavoro un contributo innovativo che favorisce la creatività. Inoltre, un contesto di inclusione, rende i lavoratori più motivati e quindi, come anticipato, più produttivi.

A livello organizzativo invece, un’azienda che dichiara di essere aperta a valorizzare le capacità dei suoi collaboratori ha certamente la possibilità di attrarre un maggior numero di candidati e superare la carenza di manodopera. Incrementando il numero di candidati interessati, aumenta anche la possibilità di trovare tra questi nuovi grandi talenti, che saranno affascinati dalla prospettiva di poter esprimere appieno le proprie potenzialità in un ambiente libero dai pregiudizi. Infine, una forza lavoro ben integrata e soddisfatta riduce i tassi di assenteismo e permette di diminuire i costi.

Tutti i benefici elencati hanno un impatto diretto sulla reputazione dell’organizzazione, che ha l’opportunità di dare del proprio ambiente di lavoro inclusivo e produttivo il proprio elemento distintivo. E’ statisticamente dimostrato infatti che i brand più inclusivi sono decisamente più apprezzati dai consumatori.

Gestione della diversità

In questo quadro, è fondamentale che i manager si concentrino sulla gestione della diversità, attuando pratiche di sviluppo e valorizzazione del potenziale di ogni lavoratore.

Prima di far questo però, è importante che i manager sviluppino le loro capacità di analisi e gli strumenti ad esse collegate, che gli permettano di comprendere al meglio l’unicità di ogni collaboratore, sia dal punto di vista personale che dal punto di vista delle competenze e della motivazione.

Queste abilità di analisi e gli strumenti collegati, possono essere appresi e potenziati!

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